Marina si trovava sulla soglia, accogliendo i genitori con lo stesso sorriso di sempre. Ma il livido sotto il suo occhio tradiva ciò di cui non voleva parlare.
— Mamma, va tutto bene, non badare — disse in fretta, notando lo sguardo attento di sua madre.
Elena Igor’evna sospirò profondamente.
— Fai come credi, figlia. Sei tu a dover vivere…
Ivan Mikhailovic, invece, non salutò nemmeno il genero. Si avvicinò in silenzio alla finestra e fissò il vuoto, come se non avesse udito Marina balbettare qualcosa sul mobile e sull’oscurità:
— È che… stanotte mentre camminavo ho sbattuto per caso. Dai, mamma, fra me e Egor va tutto bene!
Bene? Marina ricordava fin troppo bene cosa fosse accaduto la notte prima. Egor, già sempre pronto a esplodere, non si era limitato a urlarle contro. Quando lei aveva osato dire di esserne stanca, lui l’aveva afferrata per il colletto della vestaglia — tanto da farla quasi strappare.
— Ma non capisci, idiota? Non ti ricordi a chi devi il fatto di vivere e di non pensare a nulla?! — urlò scuotendola.
— Hai dimenticato come ti portavo a casa dalle bettole quando scappavi da me per rincorrere quel dannato Denis? Hai scordato chi ti amava, stupida? Ti portavo persino in braccio!
E poi — un colpo secco, deciso. Le stelle le esplosero davanti agli occhi, seguite da un dolore pungente… E Egor continuava a imprecare.
— Sì, figlia mia, capisco. Mobile… oscurità, — mormorò la madre, pur sapendo perfettamente come stavano le cose.
E si sentiva in colpa. Era stata lei a spingere Marina a sposare Egor! Era stata sempre lei a tenere Denis lontano dalla figlia, convinta che lui l’influenzasse negativamente.
— A quanto pare, invece, il tuo mobile sa picchiare, — osservò Elena Igor’evna, lanciando uno sguardo pieno di significato al genero.
Ivan Mikhailovic non si voltò dalla finestra. Uscì sul balcone a fumare. A differenza della moglie, non aveva mai appoggiato Egor: lo trovava troppo… viscido. Vanitoso e stucchevole. Sì, ricco — con appartamento, macchina, contatti e prospettive — ma marcio dentro.
E quel marciume era finalmente emerso, nel livido sotto l’occhio di sua figlia.
Ivan Mikhailovic avrebbe potuto afferrare il genero per la giacca e fargliela pagare. Ma sarebbe finito in uno scandalo. E lui non voleva. Si trattenne con uno sforzo… Ed ecco perché uscì sul balcone.
Sapeva di risolvere la questione in un altro modo. E sapeva già come.
Parlò a lungo al telefono, appoggiato a quel balcone…
Intanto Marina offriva il caffè alla madre e chiacchierava del più e del meno. Dopo mezz’ora i genitori se ne andarono.
Egor, che si aspettava rimproveri e urla, finalmente si rilassò. Si lasciò cadere sul divano, aprì una birra e perfino fece un sorriso trionfante: nella sua idea, il silenzio dei suoceri era un’approvazione tacita. “Famiglia è famiglia, i lividi fanno parte della vita. Non mi diranno niente.” Giusto?
— Vedi, Marina, te l’avevo detto — disse compiaciuto —. I tuoi sono normali, con la testa a posto. Non come te… Ieri mi hai aggredito senza motivo! Ho solo bevuto una birra in più — e cosa c’è di male?
Prese un sorso di birra e si protese verso una ciotola di patatine.
Ma la sua felicità durò poco.
Non passarono trenta minuti che qualcuno bussò alla porta. Non suonò il campanello, bussò. Forte, deciso. Quella serie di colpi fece Egor posare la lattina e irrigidirsi.
Si avvicinò alla porta, guardò nel vetro spia… e impallidì.
Sulla soglia stava Denis. Il suo rivale. L’ex di Marina. Proprio quello che una volta avrebbe potuto farne la sua sposa, se non l’avesse persa. Alto, bello, sicuro di sé. Con quel sorriso che alle donne fa sospirare e agli uomini vien voglia di menargli.
— Che vuoi? — ringhiò Egor, aprendo appena la porta, giusto per far intravedere il fastidio, ma non abbastanza per far entrare Denis.
— Spostati, — rispose Denis con calma, spingendolo via con la spalla.
Egor barcollò come un burattino.
Marina si alzò dal divano, gli occhi sgranati.
— Denis…
— Su, fatti i bagagli, — disse lui, secco. — Vuoi venire con me? O dai tuoi? Ma perché restare con questo fallito?
— Fallito? Ma che dici?! — esplose Egor, rimanendo però pietrificato.
— Ho detto te, Egorushka. Te, — sorrise Denis con distacco —. Non volevo intromettermi, non era affar mio. Ma quando tuo suocero — un uomo in gamba, tra l’altro — mi ha chiamato dicendo che l’avevi picchiata… ho pensato che fosse ora di agire.
— Sei impazzito? — ringhiò Egor.
— Non proprio preso, — rise Denis —. Lo spazio che affitti per il tuo club appartiene a un mio amico. Un ottimo amico. Riceverai a breve l’avviso di non rinnovo del contratto. Capito? L’hanno già messo nel tuo ufficio.
Egor si lasciò cadere sulla poltrona, stecchito.
— E sai che altro? — continuò Denis, chinandosi su di lui —. Ti abbiamo calcolato i debiti d’affitto degli ultimi sei mesi. Ricordi quando ti dissero che l’affitto sarebbe aumentato appena il club fosse diventato profittevole? È successo sei mesi fa. E la comunicazione è lì, sulla tua scrivania — semplicemente non l’hai letta. Con gli interessi di mora, ora il conto è salatissimo. Vuoi sapere quanto devi?
Si chinò ancora:
— E so che non hai un centesimo per saldarlo. Forse avresti dovuto pensarci prima di ubriacarti con le tue… compagnie.
Egor lasciò cadere le braccia, come un limone spremuto.
— È una trappola! — borbottò, incredulo —. Sei tu che hai manomesso quei documenti!
— Fai come credi, — scrollò le spalle Denis —. Puoi pure andare in tribunale. Solo che mi risulta che il tuo avvocato non lavora più per te. Chi ti difenderà adesso? Il tuo barista con il piercing al naso?
Egor aprì la bocca, ma non disse una parola.
— Marina, andiamo — disse Denis offrendo la mano —. Non serve portare nulla: ti comprerò tutto. E quello che hai qui… non te lo meriti. Tutte quelle cianfrusaglie.
— Denis, aspetta… — balbettò Marina, smarrita —. Tutto è successo così in fretta, non capisco…
— “In fretta” è quando ti danno un pugno in faccia e tu difendi chi ti ha colpito. Il resto è solo lentezza.
Marina prese la mano di Denis e si voltò dall’altra parte.
— Ma sei impazzito?! — urlò Egor. — Questa è casa mia! Questa è mia moglie!
— Moglie? — ribatté Denis —. Tu, marito che picchia e poi si nasconde dietro a una birra e alla TV? Non sei un uomo, Egor. Sei solo un flop: rumoroso all’inizio, poi sparisci. Non hai nemmeno il coraggio di menarmi personalmente.
— Ma io… io… — tentò di rispondere Egor.
— Cosa? Vuoi andare in tribunale? Raccontare del livido “per colpa del mobile”? O di come il tuo club è fallito perché eri troppo impegnato a ubriacarti, sperando in qualche raccomandazione?
Marina seguì Denis, senza voltarsi. Solo sulla soglia si fermò un istante:
— Scusami, Egor. Addio.
— Vaffanculo! — esplose lui —. Sì… vattene pure…
Se ne andarono.
Due giorni dopo, Egor era rimasto nella casa vuota. Il club chiuso. I documenti di disdetta d’affitto sul tavolo, la notifica dei debiti accanto.
Denis si era rivelato non solo un ex, ma un ex con carattere e mezzi. Aveva aspettato il momento giusto — e aveva colpito al cuore, senza sbagliare.
Intanto a casa dei genitori di Marina regnava la calma. La madre cucinava in cucina, il padre sfogliava il giornale.
All’improvviso Marina entrò in salotto.
— Ciao, — disse.
— Dove sei stata, figlia? Egor ti cercava, — chiese il padre con voce severa.
— Ero… con Denis.
— Quindi sei scappata da Egor?
— Sì. Sono scappata.
La madre scoppiò in un sorriso di sollievo, mentre il padre annuì:
— Giusto così, figlia. E sai una cosa? Se quello si azzarderà ancora, gli spaccherò quel muso.
— Papà… sei stato tu a chiamare Denis? — chiese Marina.
— Sì, io. Chi altri? — fece l’occhiolino. — È un bravo ragazzo, un vero uomo d’affari — a differenza dell’altro.
— Bene, così doveva andare! — esclamò la madre —. Scusami se quasi ti ho rovinato la vita. Meno male che da Egor non hai avuto figli…
— Oh, mamma, che lingua tagliente! — rise il padre —. L’importante è che tu abbia capito di aver ragione.
E, nel frattempo, Denis restava appoggiato al cancello, accanto al suo SUV nero. Sorrideva… sapendo che nessuno avrebbe mai più alzato una mano su Marina.
Se non per regalarle amore e sorprese piacevoli. Ma questa è un’altra storia.