— O paghi la nostra vacanza in Egitto con i miei amici, oppure me ne vado, — mi ha imposto un ultimatum, ma io l’ho messo a posto.

— Voglio andare in Egitto con gli amici, — disse Anton, stravaccato sul divano senza staccare gli occhi dallo schermo del telefono.

Marina si bloccò con il piatto in mano. La cena che aveva cucinato per due ore dopo una giornata estenuante di lavoro improvvisamente sembrò inutile.

Una voce dentro di lei sussurrava: «Hai capito male, è uno scherzo».

— Cosa hai detto? — posò lentamente il piatto sul tavolo per non farlo cadere.

— Quello che hai sentito, — Anton si staccò finalmente dal telefono e la guardò con quel sorriso sicuro che una volta trovava affascinante.

— Io, Vitya e Zheka abbiamo deciso: ci serve una vacanza da uomini. Egitto, formula «tutto incluso», feste, mare. Almeno una settimana. La paghi tu.

Marina si lasciò cadere lentamente sulla sedia. Un anno prima, Anton aveva perso il lavoro in un’agenzia pubblicitaria.

«È temporaneo,» diceva. «Solo una pausa.» Una pausa che era durata quattordici mesi, riempiti di videogiochi, cibo spazzatura e infiniti «non ora, sono stanco» ad ogni domanda sul lavoro.

— Anton, ti rendi conto che lavoro solo io? E vorresti che pagassi non solo la tua vacanza, ma anche quella dei tuoi amici?

— E allora? — fece spallucce. — Vitya e Zheka sono bravi ragazzi. Anche loro stanno attraversando un momento difficile. E tu guadagni bene.

— Momento difficile… — ripeté Marina come un’eco. — Anche il mio è un momento difficile. Lavoro dodici ore al giorno.

Anton si raddrizzò improvvisamente:

— Ti sto chiedendo molto? Non ti sto chiedendo una casa o una macchina! Solo una settimana di vacanza! Quando è stata l’ultima volta che siamo andati da qualche parte?

— L’anno scorso, — rispose piano Marina. — Ho pagato io il viaggio in Turchia.

— Ah, la Turchia, — fece una smorfia di disprezzo. — Cinque giorni in un albergo da quattro soldi. Io parlo di una vera vacanza! Mi serve una ricarica.

Nella mente di Marina lampeggiò un pensiero: «A me serve una ricarica del matrimonio».

— Ci penserò, — disse invece.

Anton si buttò di nuovo sul divano, afferrando il controller della console.

— Pensaci bene. Ho già detto ai ragazzi che andiamo.

Quella sera Marina sedeva in un caffè con Lena, facendo roteare il calice di vino tra le mani. Lena la guardava con un’irritazione appena velata.

— Tre biglietti per l’Egitto a tue spese? — Lena quasi si strozzò con il caffè. — È impazzito? Sono sempre stata contraria al vostro matrimonio, ma ora ha superato ogni limite.

— Dice che ha bisogno di una pausa… — Marina guardava fuori dalla finestra le luci della città.

— E tu? — Lena si sporse in avanti. — Non hai bisogno anche tu di una pausa? Lavori come un mulo, mantieni quell’approfittatore, e lui vuole pure scaricarti i suoi amici addosso?

La parola «approfittatore» la fece rabbrividire. Quante volte aveva dato soldi ad Anton? Quante volte gli aveva comprato nuovi gadget per tirargli su il morale?

— Forse sta solo attraversando una crisi, — mormorò, ormai senza convinzione.

— Marinka, svegliati! — Lena le strinse la mano. — Questo non è un momento passeggero, è uno stile di vita. Io ne ho divorziato da uno così. Ho pianto sei mesi, ora vivo felice. Liberati di questo peso.

Sulla strada di casa, Marina rifletteva sulle parole di Lena. «Stile di vita. Peso. Approfittatore.»

Quando entrò in casa, sentì il chiasso di Anton e i suoi amici.

Sul tavolino — bottiglie vuote; a terra — carte di patatine. Anton la notò e gridò:

— Ehi, Marinka! Stiamo pianificando il viaggio! Quando ci mandi i soldi?

Sabato mattina Marina si svegliò col profumo di caffè. Anton era sulla soglia con una tazza fumante.

— Buongiorno, bellezza, — posò la tazza sul comodino e si sedette accanto a lei. — Dobbiamo parlare.

Marina prese la tazza. Era la prima volta da mesi che Anton le portava il caffè a letto.

Qualcosa nel suo sorriso sembrava falso.

— Senti, riguardo all’Egitto, — le accarezzò la spalla. — Forse sono stato troppo brusco. Ma ho davvero bisogno di questa vacanza.

— Anton, — sospirò Marina, — possiamo permetterci un viaggio per noi due. Ma pagare anche per i tuoi amici…

— Per noi due?! — Anton ritrasse la mano come se si fosse scottato. — Io parlo di un viaggio da uomini. Senza offesa, Marinka, ma ho bisogno di liberare la mente.

Marina posò il caffè.

Dentro di lei qualcosa scattò. Anni di offese, di disprezzo, si coagularono in un nodo incandescente.

— E io? — sussurrò. — Quando ho fatto l’ultima vera vacanza?

Anton alzò gli occhi al cielo:

— Ancora? Nessuno ti impedisce di prenderti ferie.

— E dove vado? — la voce le tremava. — Mentre tu ti diverti a mie spese?

— Ah, eccoci, — disse Anton alzandosi. — Ora i soldi sono «tuoi»? Non siamo una famiglia?

— Una famiglia si aiuta a vicenda. Si rispetta.

— Sei diventata una sapientona, eh? — sbottò Anton. — Forse sei solo egoista! Non vuoi spendere per tuo marito!

— Non voglio pagare per tre uomini adulti che potrebbero mantenersi da soli!

Anton si avvicinò, il volto contratto:

— Lo dico una volta sola. O paghi il viaggio per me e i miei amici, o me ne vado.

Marina fece un passo indietro.

— Sei serio?

— Serissimo, — tagliò corto.

Il telefono di Anton squillò. Era Vitya.

— Che gli dico? Che mia moglie è una tirchia?

Marina guardava l’uomo che non riconosceva più.

Ricordò le parole di Lena: «Peso. Approfittatore. Stile di vita».

Una calma glaciale la invase.

— Va bene, Anton, — disse, sorridendo dolcemente. — Ho capito.

— Sul serio? — lui sgranò gli occhi.

— Sul serio. Ti meriti una vacanza.

Anton rise, la abbracciò, e al telefono disse:

— Vitya! Tutto ok! Marinka ha detto sì! Prenota a cinque stelle!

Marina pensava a ben altre «stelle» che presto gli sarebbero cadute sulla testa.

Prenotò il viaggio… ma in un albergo fatiscente lontano dal mare, con vitto pessimo, e senza biglietti di ritorno.

— È un incubo! — Anton urlava al telefono. — Sai in che buco ci hai mandati?

Marina sorseggiava un succo rosso seduta comodamente in poltrona.

— Mare poco caldo? — chiese dolcemente.

— Mare?! Siamo a tre chilometri dalla spiaggia! E l’albergo è infestato di scarafaggi!

— Che peccato. E il cibo?

— Riso e tè tre volte al giorno! Zheka ha trovato uno scarafaggio morto nel piatto!

Marina si guardò allo specchio e sorrise.

— Non sono arrivate le conferme dei voli di ritorno?

— NO! — Anton urlò isterico.

— Purtroppo non ho più soldi, Anton. Li ho spesi tutti per questo «meraviglioso» viaggio.

— Marina, ti prego…

— Chiama tua madre, — disse Marina. — Magari ti aiuta.

Spense il telefono. E cambiò numero.

Due settimane dopo, chiese il divorzio. Cambiò la serratura di casa.

Mesi dopo, mentre si rilassava al sole con Oleg — il suo nuovo compagno — in Egitto, sorseggiava un cocktail mentre il cellulare vibrava.

Era Anton, ancora.

— Lo blocchi? — chiese Oleg.

— No, — rise Marina. — Ogni suo messaggio mi ricorda quanto sono libera.

E, sorridendo, chiuse il telefono, pronta a godersi ogni attimo della sua nuova vita.