Galina stava spolverando lo scaffale più alto della dispensa, quando il panno si impigliò in qualcosa di metallico. Cinquantadue anni non sono l’età in cui è facile salire su una scala, ma ordine è ordine. Illuminò l’interno dello scaffale col telefono.
«Vitya, dove sei?» urlò nel vuoto dell’appartamento, pur sapendo benissimo che suo marito, come al solito, era uscito «per lavoro».
Dietro a una pila di libri di contabilità ingialliti, spuntò una piccola scatola di metallo coperta da uno spesso strato di polvere.
Galina la estrasse con cautela, sorpresa dal peso. La scatola era chiusa a chiave, ma una chiave avvolta nel nastro isolante era fissata al fondo.
«Accidenti, che cospirazione», borbottò ridacchiando.
Le mani le tremavano mentre apriva la serratura. All’interno c’erano mazzette di banconote da cinquemila, legate con nastro bancario. Galina iniziò a contarle automaticamente, da abitudine professionale. Due milioni e seicentomila rubli.
«Mamma mia, da dove vengono?» sussurrò, sentendo un brivido lungo la schiena.
Sotto i soldi c’era un fascio di buste legate da un nastro rosa. Galina prese la prima, datata il mese scorso. La calligrafia era femminile, svolazzante.
«Mio caro Viten’ka! Grazie per il meraviglioso weekend alla dacia. Ogni volta che mi sveglio nella nostra casetta, mi sento la persona più felice…»
Galina si lasciò cadere per terra e si appoggiò al muro. Le si seccò la gola e davanti agli occhi le comparvero cerchi colorati.
Quelle lettere furono come pugni allo stomaco: ogni nuova rivelazione le tolse il fiato. Una certa Larisa, a quanto indicava la firma, confidava i suoi sentimenti, i suoi progetti, i suoi sogni. E ovunque figurava lui: il suo Viten’ka, il suo unico, il suo futuro.
Galina iniziò a ordinare le lettere per data, in modo metodico — la sua abitudine di sistematizzare le cose la aiutava a non sprofondare nella follia. La più vecchia risaliva a tre anni prima. Tre anni! Ricordò come allora Viktor avesse iniziato a rientrare tardi, spiegando che erano incontri con ex soci d’affari.
«Che stupida sono stata», rise amaramente Galina, lisciando con le dita tremanti un’altra busta.
Tra le lettere trovò un atto di compravendita. Una dacia nella regione di Mosca, intestata a Larisa Petrovna Svetlova. Galina ricordava che sei mesi prima Viktor parlava di un grande investimento in azioni. Non le aveva chiesto di vedere i documenti — si fidava come se fosse sé stessa.
«Amore mio, sono così felice che finalmente hai deciso! — leggeva nell’ultima lettera. — Manca pochissimo e saremo insieme per sempre. So quanto ti costa organizzare tutto, ma sai che io so aspettare…»
Nel corridoio si sentì lo scatto della serratura. Galina sobbalzò, udendo i passi familiari di suo marito.
«Galočka, sono a casa!» risuonò la sua voce, come sempre allegra. «Immagina, ho incontrato Sergej Ivanovič, ho…»
Si fermò di colpo, rimasto adagiato sulla soglia della dispensa. Galina alzò lentamente gli occhi, fissando il volto dell’uomo con cui aveva vissuto per quaranta anni. Un volto estraneo, completamente estraneo.
«Quindi è così, Viten’ka?» chiese lei a bassa voce, sollevando la lettera. «Cosa diavolo stai combinando?»
Il volto di Viktor cambiò, come se fosse invecchiato di dieci anni in un secondo. Istintivamente si portò una mano alla cravatta per allentare il nodo.
«Galia, parliamo con calma», iniziò con una voce insolitamente pacata. «Tu sei una donna ragionevole.»
«Ragionevole?» Galina si alzò dal pavimento, tenendo in mano il contratto per la dacia. «Quaranta anni a essere ragionevole. Quaranta anni a credere ad ogni tua parola. E tu… tu per tutto questo tempo…»
«Ascolta, non è così semplice», fece un passo avanti Viktor. «Dovresti capire.»
«Capire cosa?» la voce di Galina risuonò. «Come fai a comprare una dacia per un’altra donna con i soldi che abbiamo risparmiato per tutta la vita? Come le scrivi della ‘nuova vita’? O come intendi liberarti di questa vecchia pazza di tua moglie?»
«Non dire sciocchezze!» scattò all’improvviso Viktor. «Sì, ho un’altra donna. Sì, l’ho amata! E allora? A quest’età ho il diritto.»
«Diritto?» Galina scoppiò in una risata che spaventò persino lei stessa. «Diritto di mentire? Diritto di tradire? E io che diritto ho di sapere dove sono finiti i nostri risparmi?»
«Quali risparmi?» Viktor si fece scarlatto. «Questi sono i miei soldi! Li ho guadagnati io!»
«E io, allora, in tutti questi anni sono stata solo un’esistenza accanto a te?» Galina si avvicinò fin quasi a toccarlo. «La tua domestica comoda? La cuoca? La badante di tua madre quando stava male?»
Viktor distolse lo sguardo:
«Stai drammatizzando tutto. Volevo risolvere tutto in modo civile…»
«Civile?» Galina alzò la lettera. «‘Appena risolverò la questione col passato’ — parli di me, vero? Per te io sono già il passato?»
Quella sera tutto cambiò.
Viktor, spinto all’angolo, alla fine tolse la maschera. Parlò a lungo, in modo confuso, alternando scuse ad accuse. Raccontò di come aveva incontrato Larisa a una conferenza di pensionati-imprenditori. Di come lei «avesse dato nuova linfa alla sua vita». Dei progetti di trasferirsi con lei in un’altra città.
«Volevo dirtelo dopo le feste», mormorò. «Ti avrei lasciato l’appartamento…»
«Che magnanimo gesto», Galina provò un inspiegabile senso di calma. «Sai qual è la cosa più spaventosa, Vitya? Non sono i soldi, non è la dacia, non è questa tua Larisa. È che ho vissuto per trent’anni con una persona che, a quanto pare, non conoscevo affatto.»
La mattina dopo Galina si svegliò una persona diversa. Chiamò il lavoro e chiese un giorno di ferie. Per la prima volta in vita sua non preparò la colazione al marito. Invece prese il numero della sua vecchia amica Nina, avvocato in pensione.
«Ninočka, ho bisogno del tuo aiuto», disse con voce ferma. «Dimmi come si fa a chiedere il divorzio.»
Le due settimane successive volarono in un turbine. Inventario dei beni, raccolta dei documenti, consulenze legali. Viktor oscillava tra minacce e implorazioni, promettendo di sistemare tutto, offrendo compromessi.
«È tardi, Vitya», scuoteva la testa Galina. «Sei stato tu a decidere per entrambi. Ora decido per me.»
Quando depositò la domanda di divorzio, provò un inaspettato senso di sollievo. Come se si fosse tolta uno zaino pesante dalle spalle.
Un mese dopo, Galina sedeva nella sua caffetteria preferita con Nina. Fuori, il sole di maggio riscaldava i germogli primaverili.
«Sai», disse Galina assorta, mescolando con un cucchiaino il tè, «dovrei dire grazie a quella dispensa. Se non fosse stato per quella pulizia casuale, avrei continuato a vivere nelle illusioni.»
«E adesso?» Nina guardò attentamente l’amica.
«Adesso…» Galina sorrise, e quel sorriso era nuovo, sconosciuto. «Adesso vivo finalmente. Sai, mi sono iscritta a un corso di inglese. Ho sempre sognato, ma Vitya diceva che a questa età sono sciocchezze.»
«Bravo!» Nina le posò una mano sulla mano. «E poi?»
«Poi?» Galina guardò fuori dalla finestra. «Sai, a sessantadue anni la vita comincia appena. Ieri la mia nipotina mi ha mostrato un’app per viaggi. Immagina, ci sono tour speciali in Europa per pensionati!»
«Davvero?»
«Assolutamente», annuì Galina. «Ho messo da parte soldi per la vecchiaia, avevo paura di spendere un centesimo di troppo. Ma ora ho capito: la mia vita è solo mia. E voglio vedere il mondo, finché ho forze e salute.»
Prese dal borsellino il suo nuovo passaporto:
«A giugno vado a Praga. Immagina, ci sono tour pensati per persone della nostra età. Mai troppo tardi per ricominciare a vivere, no?»
«E Vitya?» chiese Nina con delicatezza.
«E cosa vuoi che sia Vitya?» Galina scrollò le spalle. «Che viva come vuole. Sai, l’ho perdonato. Non per lui, per me. Il risentimento è un peso troppo grande per la nuova vita.»
Fuori dalla caffetteria il vento primaverile spingeva le nuvole. Galina guardava il suo riflesso nel vetro e non vedeva più una donna affaticata dal tradimento, ma una persona pronta a nuove scoperte. Del resto, il tesoro più prezioso l’aveva trovato proprio in quella dispensa: non soldi né lettere, ma sé stessa.
«Alla nuova vita?» sollevò la tazza Nina.
«Alla nuova vita!» sorrise Galina, e nei suoi occhi brillò finalmente una scintilla di nuova vivacità.