“Allontanate via questa donna sporca da me.” La voce di Moren risuonò. “Non è mia madre.” Odoni rimase paralizzata. I fiori scivolarono dalla sua mano. Fissò la figlia, incredula. Aveva viaggiato tutto il giorno solo per sorprenderla, solo per dirle: “Sono orgogliosa di te.” Moren sibilò e si voltò verso le amiche: “Non badate a questa donna. Questi poveracci farebbero di tutto pur di attirare l’attenzione.” In quel momento qualcosa si ruppe dentro Odoni. Non riuscì a trattenere le lacrime. Si chinò lentamente, raccolse il mazzo di fiori caduto dalle sue dita e si voltò. Solo il tempo avrebbe raccontato.
Molti anni prima, in un piccolo e tranquillo villaggio chiamato Azure, viveva una giovane donna di nome Aduni. Era poco più che ventenne, di cuore gentile e conosciuta da tutti per la sua forza silenziosa e il suo sorriso caldo. La vita non le era stata facile. Si era sposata da giovane con il suo amore d’infanzia, Sei, un contadino dal cuore tenero che la amava profondamente, ma la felicità non durò a lungo. Tre mesi dopo il concepimento, la tragedia colpì: lui era andato in cerca di legna nella foresta e non era più tornato. Un albero cadde e lo uccise.
Adoni non si curava dei pettegolezzi; sapeva solo che l’amore della sua vita era svanito. Il suo dolore si fece più profondo quando la famiglia del marito si voltò contro di lei. Pochi giorni dopo il funerale, le tolsero tutto: la casa, la fattoria, perfino i piccoli risparmi che aveva nascosto. “Tuo marito è morto. Cosa aspetti ancora?”, le intimarono. Odoni implorò, pianse, ma nessuno le diede ascolto. Rimase con nulla, tranne il figlio che portava in grembo.
Adoni non aveva genitori; era stata allevata dalla nonna, morta anni prima. Senza una casa, incinta e distrutta, vagava per il villaggio, senza sapere cosa fare. Poi venne la speranza. Una mattina, mentre piangeva sulla riva del fiume, un vecchio pescatore di nome Baba Tundi la notò. Conosceva sua nonna e provò pietà per la giovane vedova. Senza chiedere nulla in cambio, le diede un cesto di pesci freschi. “Vendili al mercato,” le disse con dolcezza, “e restituiscimi il dovuto quando potrai.” Un gesto piccolo, ma capace di cambiare tutto.
Quello stesso giorno Adoni portò i pesci al mercato del villaggio. All’inizio era timida: non aveva mai venduto nulla prima. Ma fame e disperazione la spinsero avanti. Si posizionò in un angolo, chiamando i compratori con voce sommessa: “Pesce fresco, venite a comprare.” Alcuni la ignorarono, altri la schernirono. Ma a fine giornata il cesto era vuoto e lei aveva un piccolo guadagno, abbastanza per comprare farina e un po’ di pepe, sufficiente per sfamarsi quella notte.
Quella sera tornò alla baracca di Baba Tundi, gli consegnò parte dei soldi e lo ringraziò con le lacrime agli occhi. Da allora divenne una routine: ogni mattina il pescatore le dava un cesto di pesci, ogni sera lei tornava con il denaro. Col passare dei mesi, al mercato la conoscevano come “Oduni la pescivendola”. La gente ammirava la sua dedizione: pur essendo molto incinta, non saltava un giorno.
Quando nacque la sua bambina, la chiamò Moren, che in lingua locale significa “ho trovato qualcosa da amare”. Adoni riversò tutto il suo affetto su Moren, cresciuta con amore e saggezza. Vivevano in una piccola baracca, ma per Aduni era un palazzo perché sua figlia ne era la regina. Ogni soldo guadagnato lo risparmiava per il futuro di Moren. Mangiare e rammendare i propri vestiti erano sacrifici che affrontava per non spendere un centesimo in più per sé.
Quando Moren compì dieci anni e mostrò talento a scuola, Adoni iniziò a sognare in grande. La sua bambina ce l’avrebbe fatta: avrebbe lasciato il villaggio, sarebbe andata in città, sarebbe diventata qualcuno di grande e rispettato. Moren non mancò mai la retta scolastica, anche se significava che sua madre doveva digiunare. Quando desiderava un paio di scarpe nuove, Adoni piangeva in silenzio la notte e poi lavorava ore extra per acquistarle. “Non deve soffrire come me,” si ripeteva, “anche se ciò mi uccide.”
Il duro lavoro di Moren diede i suoi frutti: superò gli esami di scuola superiore a pieni voti. Ma la sorpresa più grande arrivò con una lettera: aveva vinto una borsa di studio completa all’University of LA, una delle più prestigiose. “Mia figlia ce l’ha fatta,” singhiozzò di gioia quella notte, pregando gli dei della terra per ringraziarli. Prima che Moren partisse per la città, Adoni la strinse forte a sé: “Non dimenticare da dove vieni.” “Non lo farò, mamma, lo prometto,” rispose Moren.
Adoni le diede tutti i risparmi. Quando il bus partì, ella restò a salutare a lungo. All’inizio le telefonate del fine settimana erano piene di entusiasmo: Moren parlava di edifici enormi, di gente nuova. “Mamma, non crederai quanto è grande l’università,” rideva. Lei ascoltava con orgoglio, anche se non capiva sempre tutto. Poi, una notte, la voce di Moren cambiò: “Mamma, alcune ragazze qui sono così ricche…” Odoni la consolò: “Non importa ciò che hanno, ciò che conta è chi sei. Lascia che siano i tuoi risultati a parlare.”
Col passare dei mesi, le telefonate si fecero brevi e sempre più rare. Durante le vacanze, Aduni preparò il piatto preferito di Moren, comprò due nuovi vestiti, ma Moren non tornò: aveva ottenuto uno stage in città. Lei non protestò: “Va bene, figlia mia.” Ma quella notte pianse silenziosa, il cuore stretto. Quattro anni volarono via. Un mattino, il telefono squillò: “Mamma, la mia laurea è la prossima settimana.” Adoni esultò, “Sono così orgogliosa di te!” Ma Moren rispose fredda: “Ci saranno troppe telecamere… forse non dovresti venire.” Adoni esitò un attimo, poi disse: “Starò in fondo, solo per vederti sorridere.”
Nei tre giorni successivi vendette pesce extra per il viaggio, prese in prestito da una vicina e comprò un vestito dignitoso. La mattina della laurea si alzò prima dell’alba, raccolse fiori gialli di ibisco e gigli bianchi e partì. A mezzogiorno varcò i cancelli dell’università: tutto era enorme e lucente. Laureandi in abiti sgargianti passeggiavano con le famiglie. Adoni cercò Moren nella folla e la trovò, bellissima nella toga nera e gialla, truccata, coi tacchi alti.
Il cuore di Adoni esplose di gioia. Avanzò tra gli astanti, tra le lacrime trattenute, e chiamò: “Moren, figlia mia!” Moren si voltò, vide sua madre che sorrideva. Ma il suo volto mutò: le sopracciglia si aggrottarono e disse ad alta voce, “Allontanate via questa donna sporca da me. Non è mia madre.” I fiori caddero ancora, Odoni rimase pietrificata. “Sono io, tua madre,” balbettò. Moren sibilò: “Non badate a lei. Questi poveracci…” Le amiche risero sommessamente. Il cuore di Adoni si spezzò come vetro. Si chinò, raccolse il mazzo e si voltò.
In quel preciso istante Moren avvertì un’ondata di rimorso. Richiamò alla mente le sue parole crudeli. Decise di riparare. Riprese il cammino verso il villaggio, il cuore appesantito dal rimpianto. Giunta nella piccola baracca di sua madre, la trovò stanca e provata. Si inginocchiò, le lacrime le rigavano il volto. “Madre, perdonami,” implorò con voce tremante. Adoni la guardò, gli occhi colmi di tristezza ma anche di amore. “Figlia mia, ti ho perdonata molto tempo fa,” disse con dolcezza. “Ora devi perdonare te stessa.”
Aprì le braccia e Moren si abbandonò in un pianto liberatorio. Per la prima volta parlarono dei loro sentimenti e del passato. Con il perdono e l’amore di sua madre, la vita di Moren ricominciò a fiorire: trovò un lavoro grazie a un conoscente e ricostruì l’esistenza. Lavorarono insieme per rinsaldare il loro legame, e Moren imparò il valore della famiglia e dell’umiltà.
Lezioni apprese
Il successo non riguarda solo i traguardi, ma anche i rapporti e i valori che si custodiscono.
I sacrifici fatti da chi ci ama meritano riconoscenza e rispetto.
Il perdono è il primo passo verso la guarigione e la rinascita.