Katia scese dall’autobus a pochi passi dal suo villaggio. Il motore ruggì e il mezzo proseguì lungo la strada asfaltata, mentre la ragazza si tolse i sandali, li ripose con cura nella borsa da viaggio e posò i piedi nudi sul sentiero sabbioso che conosceva fin dall’infanzia. Mancavano appena trecento metri a casa.
Presto intorno a lei si levò la voce mattutina del villaggio: i galli si rispondevano tra loro, dalla fattoria arrivavano i muggiti delle mucche, e nei cespugli esplodevano le melodie degli uccelli. L’erba ai bordi della strada brillava ancora di rugiada, restituendo a quella via la freschezza dei ricordi d’infanzia.
Il villaggio si stava lentamente svegliando. Dalle finestre le vicine si sporgevano con un sorriso e un cenno di saluto, a cui Katia rispondeva con un sorriso leggero e un cenno del capo.
— Bentornata, Katjuša, finalmente sei tornata, — udì la voce della madre vicino al cancelletto.
— Perché ti sei alzata così presto? Potevi dormire ancora un po’, — rispose la figlia con un lieve rimprovero.
— Eh, le capre bisogna mungerle. Sai bene a che ora comincia la mia giornata, — la madre la abbracciò forte. — Pensavo portassi qualcuno da presentare. Ce lo eravamo promesso…
— Per ora non può venire. Forse ha paura… O forse non so io stessa se è amore o solo tempo trascorso insieme, — sospirò Katia.
— Davvero? — la madre la guardò con attenzione. — Ma sei stata tu per prima a correre dietro a lui. Non invano ti ho cucito due vestiti nuovi. E invece sembra che di amore non ce ne sia.
— Io pensavo fosse amore. Ma quando ha iniziato a parlare seriamente del futuro, ho sentito paura. Come se non fossi più me stessa.
— E perché mai? È un donnaiolo, beve? — chiese preoccupata la madre. — Abbi cura di te, figlia mia, per non pentirtene poi. Dopo sarà tardi per pensare ai bambini.
— Non so, mamma… Lui vuole cambiarmi in tutto. Ho cambiato pettinatura, fatto la permanente, indossato vestiti solo per piacergli, persino imparato a camminare come una modella. Tutto pur di compiacerlo. E lui lo considera scontato.
— E vorresti passare tutta la vita con un passo che non è il tuo, vestendo abiti che non ti appartengono, tingendo i capelli e realizzando desideri altrui? — chiese piano la madre. — Attenta, non diventare un giocattolo per il piacere degli altri.
Entrarono in casa. Katia indossò una semplice vestaglia, raccolse i capelli in uno chignon e sospirò sollevata:
— Ora sono a casa.
— Benvenuta, figlia mia. Sono felice che ti fermi a lungo. Così potremo parlare come si deve.
La madre andò a mungere le capre, e Katia si infilò un paio di ciabatte di gomma per andare nell’orto: decise di sarchiare un’aiuola prima di colazione, mentre la madre era occupata.
Quando ebbe finito, si lavò al lavatoio in cortile. Dal cancelletto arrivò una voce maschile squillante:
— Ciao, Katjuša! Sei tornata a riposarti?
Katia si voltò e vide un giovane alto, con la camicia usata e le maniche rimboccate, il volto illuminato da un sorriso allegro. Era il suo vecchio compagno di scuola, Serëga.
— Serëga! — esclamò sorpresa, asciugandosi il viso con l’asciugamano. — Non mi aspettavo proprio di vederti.
— Ho sentito da tua madre che sei tornata e ho pensato di passare a trovarti. Quanti anni sono?
— Quasi tre, — rispose Katia. — E voi, come ve la passate?
— Più o meno tutto come sempre: mucche, patate, fieno. Il lavoro non manca. E tu? In città la vita dev’essere ben diversa.
Katia sorrise:
— Diversa, sì. Ma non sempre più facile.
Si sedettero sulla panchina vicino al cancelletto. Serëga raccontava le novità del villaggio — chi si era sposato, chi era partito, chi aveva cambiato il tetto. Racconti semplici e sinceri che riscaldavano l’anima di Katia, facendola sentire davvero a casa.
— Quando sei partita, mi mancava qualcosa, — confessò Serëga. — Come se un pezzo della mia infanzia fosse sparito con te.
Katia abbassò lo sguardo.
— Ma noi siamo amici, — disse piano.
— Certo, amici, — rispose lui, aggiungendo serio: — Ma a volte l’amicizia diventa qualcosa di più.
Dentro di lei riaffiorarono ricordi caldi delle estati passate insieme: le passeggiate al fiume, la raccolta di funghi, le gite in bicicletta. Allora tutto sembrava così semplice e chiaro.
— E se…? — balenò un pensiero, ma Katia lo scacciò subito, pensando al suo corteggiatore di città.
— Domani andiamo al lago insieme, — propose Serëga. — Ho una barca. Ti manca, vero?
— Molto, — ammise lei. — D’accordo.
La sera, in cucina, tra profumo di latte fresco e caldi pirožki, Katia raccontò alla madre l’incontro con Serëga.
— È un bravo ragazzo, lavoratore, — disse la madre. — Vorrei che sposassi uno così.
— Mamma, siamo solo amici, — cercò di spiegare Katia.
— Guardalo meglio, — insistette la madre. — Quelle mani sanno fare di tutto. Forse con lui tornerai a essere te stessa, invece di diventare qualcun altro.
Katia tacque, riflettendo.
Il giorno dopo andarono insieme al lago. L’acqua scintillava al sole, bambini giocavano, anziani sistemavano le canne da pesca. Serëga tirò fuori la sua vecchia barca e remò verso il centro. Katia immerse la mano nell’acqua fresca, mentre lui remava con calma e sicurezza.
— In città tutto è diverso? — chiese.
— Sì, lì tutti corrono, cercano sempre di raggiungere qualcuno. È stancante.
— Qui è tutto più semplice. Lavoro, casa, terra. A volte può sembrare monotono, ma è onesto.
Un sorriso le fiorì sul volto: era proprio quella semplicità che le mancava.
«In città fingo sempre. Qui sola posso essere davvero me stessa», pensò.
— Resta qui, — disse Serëga all’improvviso. — Qui puoi essere te stessa.
Le sue parole colpirono il cuore di Katia.
Passarono i giorni: Katia aiutava la madre nell’orto, andava con lei al mercato, incontrava le amiche. Serëga la visitava spesso, e le loro conversazioni si riempivano di risate e ricordi.
Ma i messaggi di Igor, l’uomo della città, continuavano ad arrivare: «Mi manchi», «Quando torni?», «Sei mia». E il cuore di Katia si stringeva.
— Mamma, non so cosa fare. Lì ho una relazione, — confessò. — Qui invece provo qualcosa di completamente diverso.
— Figlia, scegli col cuore, — rispose dolcemente la madre. — Se con Igor perdi te stessa, a che ti serve?
Una sera Igor chiamò. La sua voce era dura, esigente:
— Dove sei finita? Noi dobbiamo stare insieme, capisci?
— E se io non voglio? — sussurrò Katia.
— Devi! — rispose irritato.
Dopo aver riattaccato, Katia rimase a lungo in silenzio.
Il giorno dopo andò al lago e scoppiò in lacrime.
— Che succede? — chiese Serëga, sedendosi accanto a lei.
— Ho paura di sbagliare, — confessò. — E se scelgo la persona sbagliata?
— Gli errori capitano, — disse lui. — Ma se accanto a qualcuno puoi essere te stessa, quello è il tuo uomo.
Guardando i suoi occhi caldi, Katia capì che la scelta era già fatta.
Una settimana dopo scrisse a Igor: «Non cercarmi. Resto a casa». E lui non la chiamò più.
Serëga divenne il suo compagno: insieme andavano nel bosco a raccogliere funghi, pescavano, aiutavano i vicini. La madre osservava felice.
Una sera, al tramonto dorato, Serëga le disse al cancelletto:
— Non so parlare bene, ma farò di tutto per renderti felice.
Katia, per la prima volta dopo tanto tempo, sentì sicurezza.
— Resto qui, — sussurrò.
Il villaggio sembrò condividere i suoi sentimenti: il cane abbaiava, la mucca muggiva, i bambini ridevano. Tutto respirava vita — come il suo nuovo amore.
Poco dopo il villaggio festeggiò il loro matrimonio: tavoli semplici, cibi preparati dai vicini, la fisarmonica che creava l’atmosfera di festa. Katia indossava un abito bianco cucito dalla madre, Serëga un abito nuovo.
— Vi auguriamo felicità e concordia! — risuonavano gli auguri.
Ridendo e piangendo insieme, Katia pensava: «Sono a casa, nel mio posto».
Dopo il matrimonio cominciò una nuova vita, fatta di fatiche quotidiane. Katia imparava a gestire la casa, Serëga la sosteneva, insieme superavano le difficoltà.
La famiglia crebbe: dopo due anni nacque un figlio, che divenne il centro della loro esistenza.
Un giorno Serëga si ammalò gravemente, e Katia non lo lasciò mai solo, curandolo e incoraggiandolo. La sua guarigione dimostrò che con l’amore si possono superare tutte le prove.
Col tempo la famiglia si rafforzò: il figlio aiutava il padre, e Katia, tornando talvolta dalla città rumorosa e frenetica, si sentiva sollevata nel rivedere il villaggio.
La sera, riuniti intorno allo stesso tavolo, Katia capì finalmente che, nonostante tutte le possibilità, aveva scelto la strada di casa, dove aveva trovato la vera felicità accanto ai suoi cari.