Il milionario aveva già licenziato sei domestiche, ma quando sua figlia urlò contro la nuova, tutto cambiò.
Miguel Hernández era esausto. Stanco di assumere dipendenti solo per licenziarle pochi giorni dopo. Stanco di gestire gli scatti d’ira di sua figlia. Stanco di vivere in una casa che sembrava più un campo di battaglia che una casa. Quando sentì le urla provenire dal salotto in quella mattina di giovedì, non si sorprese nemmeno. Era la settima domestica in meno di tre mesi. La donna era durata appena due giorni prima che Sofia esplodesse di nuovo.
Miguel scese le scale a passi pesanti, già provando mentalmente le scuse e l’assegno di indennizzo che avrebbe dovuto compilare. Ma quando arrivò in salotto, la scena davanti a lui era qualcosa che non avrebbe mai immaginato di vedere.
«Non avevi il diritto di toccarlo!», gridava Sofia, il visino contratto dalla rabbia, il dito puntato verso la donna in uniforme grigia che teneva in mano una cornice portafoto. «Nessuno tocca le cose di mia madre, nessuno!» La voce della bambina di nove anni risuonava per la casa, carica di un dolore che andava ben oltre l’ira apparente. Le guance erano arrossate, gli occhi lucidi di lacrime che si rifiutava di versare, il corpicino che tremava per l’emozione trattenuta.
Miguel conosceva bene quel copione. Nelle sei volte precedenti, le domestiche si erano ritirate, alcune spaventate, altre offese, tutte chiedendo di andarsene prima che lui dovesse licenziarle. Ma Carmem Ortiz non arretrò. La domestica, una donna di circa trentacinque anni con i capelli scuri raccolti in uno chignon basso, posò semplicemente la cornice di nuovo sulla credenza con cura. Le sue mani non tremavano, il volto restava tranquillo, ma c’era qualcosa nei suoi occhi scuri, una comprensione profonda che Miguel non riusciva a decifrare.
«Hai ragione», disse Carmem con voce dolce, facendo un passo verso Sofia. «Non avrei dovuto toccarlo senza chiedere il permesso.»
Sofia sbatté le palpebre, chiaramente disarmata da quell’ammissione. La bocca si aprì e si chiuse, cercando nuove parole d’attacco che non arrivavano.
«Ma sai?», continuò Carmem facendo un altro passo. «Quando ho visto questa foto è stato come se il tempo tornasse indietro, perché conosco la donna in questa immagine, ed era speciale, molto speciale.»
Miguel sentì il corpo irrigidirsi. Come poteva quella donna, una perfetta estranea assunta tramite l’agenzia appena tre giorni prima, conoscere sua moglie defunta?
«Stai mentendo», urlò Sofia, ma la sua voce vacillò. «Non conoscevi mia madre?»
«La conoscevo», rispose Carmem. E ora anche nei suoi occhi brillavano lacrime. «Il suo nome era Isabela. Isabela Hernández. Ma quando l’ho conosciuta, molti anni fa, era ancora Isabela Rodrigues, e aveva un sorriso che illuminava il posto più buio. Aveva mani gentili e un cuore così grande che non le stava in petto.»
Sofia rimase paralizzata. Anche Miguel. Il cognome da nubile di Isabela non figurava in nessun documento facilmente accessibile. L’agenzia non aveva di certo quell’informazione. Come faceva quella donna a saperlo?
«Come…?», iniziò Sofia, ma la voce le uscì così bassa che era appena udibile.
Carmem si inginocchiò, portandosi all’altezza della bambina. I suoi occhi cercarono quelli di Sofia con un’intensità gentile. «Posso abbracciarti?», chiese.
Sofia non rispose, ma non si ritrasse nemmeno. Carmem interpretò il silenzio come permesso e la strinse tra le braccia. Era un abbraccio fermo, caldo, del tipo che dice senza parole: «Capisco il tuo dolore.» Poi Carmem sussurrò qualcosa così piano che Miguel, a pochi metri di distanza, non riuscì a sentire.
L’effetto fu immediato e devastante. Sofia iniziò a piangere. Non un pianto di rabbia o frustrazione come Miguel era abituato a sentire, ma un pianto profondo, viscerale, di qualcuno che finalmente aveva ricevuto il permesso di sentire tutto il dolore che teneva dentro. La bambina si aggrappò alla domestica come a una zattera di salvataggio in mezzo a un oceano in tempesta.
Miguel fece un passo avanti, istintivamente desideroso di proteggere sua figlia, ma qualcosa lo fermò. Erano mesi che Sofia non piangeva in quel modo. Erano mesi che non lasciava che qualcuno la toccasse, tanto meno abbracciarla. Da quando Isabela se n’era andata, due anni prima, la bambina si era trasformata in una fortezza impenetrabile, attaccando chiunque provasse ad avvicinarsi emotivamente. E ora era lì, tra le braccia di una donna che conosceva a malapena, singhiozzando come se finalmente potesse liberare tutta la sofferenza accumulata.
Carmem dondolava leggermente, accarezzando i capelli biondi di Sofia, mormorando parole troppo basse perché Miguel potesse udirle. La scena durò diversi minuti. Quando Sofia finalmente si staccò, il suo volto era segnato dalle lacrime, gli occhi rossi e gonfi. Ma, per la prima volta in due anni, Miguel vide qualcosa di diverso nell’espressione di sua figlia. Non era felicità, ma era qualcosa di simile al sollievo.
«Conoscevi davvero mia madre?», chiese Sofia con la voce ancora rotta.
«La conoscevo», confermò Carmem, asciugandosi le proprie lacrime con il dorso della mano. «Eravamo molto vicine molto tempo fa, e lei parlava di te continuamente, ancora prima che tu nascessi. Quando ti aspettava, già ti amava più di qualsiasi altra cosa al mondo.»
Sofia deglutì, elaborando le parole. Poi il suo sguardo si volse al padre, e vi era una domanda silenziosa. Miguel non sapeva cosa rispondere. Stava ancora cercando di assimilare ciò a cui aveva appena assistito.
«Signor Hernández», Carmem si alzò, rivolgendosi a lui. Le mani ora le tremavano leggermente, come se finalmente sentisse il peso del momento. «Avrei dovuto dirlo prima di accettare questo impiego. Avrei dovuto essere sincera fin dall’inizio, ma ho avuto paura che lei non mi lasciasse entrare in casa sua se avesse saputo la verità.»
«Quale verità?», chiese Miguel con una voce più ruvida di quanto volesse. La confusione si stava trasformando rapidamente in diffidenza. Tutto quello era molto strano, una coincidenza fin troppo grande.
Carmem inspirò a fondo, come per raccogliere coraggio. «Isabela ed io siamo cresciute insieme nello stesso quartiere, nelle stesse strade. Eravamo vicine da bambine, migliori amiche per anni.» Si fermò, gli occhi pieni di tristezza. «Poi la vita ci ha separate. Lei ha seguito una strada. Io sono rimasta indietro. Abbiamo perso i contatti e, quando finalmente seppi dove si trovava, quando ebbi il coraggio di cercarla… era già troppo tardi.»
Miguel iniziò a mettere insieme i pezzi in un modo che non gli piaceva. La mascella gli si irrigidì. «E ora ti presenti a casa mia, assunta dall’agenzia che uso da anni, dicendo di aver conosciuto mia moglie. Che conveniente.»
Carmem scosse vigorosamente la testa. «So come sembra, signor Hernández. Lo so. Ma non è stata una coincidenza. Ho cercato intenzionalmente questa opportunità. Non per denaro o per la posizione, ma perché…» Guardò Sofia, e nei suoi occhi c’era un dolore genuino. «Perché ho fatto una promessa. Una promessa che non sono riuscita a mantenere quando Isabela era viva, ma che ho ancora il dovere di onorare adesso.»
«Quale promessa?», chiese Sofia prima che Miguel potesse parlare.
Carmem rivolse di nuovo l’attenzione alla bambina e il suo volto si addolcì. «Quando eravamo bambine, tua madre ed io facemmo un giuramento. Se fosse successo qualcosa a una di noi, l’altra si sarebbe presa cura di ciò che era più prezioso. All’epoca eravamo solo due ragazzine ingenue che inventavano promesse drammatiche. Ma dopo, crescendo, quella promessa non mi è mai uscita dalla testa. E ora… ora so che cosa fosse più prezioso per Isabela. Eri tu, Sofia. Sei sempre stata tu.»
Le parole rimasero sospese nell’aria, pesanti e significative. Sofia guardò la donna delle pulizie con un misto di confusione e speranza così intenso da spezzare il cuore di Miguel. Sua figlia voleva credere. Desiderava disperatamente avere un legame con la madre che aveva perso. Ed era esattamente questo che spaventava Miguel.
«Devo parlare con lei», disse a Carmem, con un tono che lasciava chiaramente intendere che non era una richiesta. «Nel mio studio. Adesso.»
Carmem annuì, comprendendo la gravità del momento. Si voltò verso Sofia e disse piano: «Parlerò con tuo padre ora, va bene? Poi, se lui lo permetterà, potremo parlare ancora. Posso raccontarti storie di tua madre da giovane, cose che forse non sai.»
Sofia si morse il labbro inferiore, chiaramente divisa tra la speranza e la paura della delusione. Alla fine si limitò ad annuire e uscì dalla stanza senza voltarsi indietro. Ma Miguel notò che le sue spalle non erano tese come prima.
Non appena rimasero soli, lui fece un cenno a Carmem di seguirlo. Lo studio si trovava al secondo piano, un’ampia stanza con scaffali in mogano dal pavimento al soffitto, pieni di libri che Isabela aveva collezionato negli anni. Miguel vi entrava di rado da quando lei se n’era andata. Era troppo doloroso stare circondato dalle sue scelte letterarie, dalle piccole annotazioni che lasciava tra le pagine dei suoi libri preferiti. Chiuse la porta alle spalle di Carmem e si voltò a guardarla, incrociando le braccia sul petto.
«Sarò diretto con lei, signora Ortiz. Non credo alle coincidenze. Lei si presenta a casa mia sostenendo di essere l’amica d’infanzia di mia moglie defunta, conoscendo dettagli intimi su di lei, proprio quando mia figlia è più vulnerabile. Questo mi sembra molto sospetto.»
Carmem non distolse lo sguardo. C’era in lei una forza tranquilla che Miguel non si aspettava. «Capisco la sua diffidenza, signor Hernández. Se fossi al suo posto, penserei lo stesso. Per questo ho portato delle prove.» Mise la mano in tasca alla divisa e tirò fuori una busta ingiallita. La porse a Miguel, che la prese esitante.
Dentro c’erano diverse foto vecchie. La qualità era scarsa, tipica delle macchine fotografiche economiche degli anni Novanta, ma le immagini erano inconfondibili. Due bambine, forse di sette o otto anni, abbracciate e sorridenti all’obiettivo. Una era chiaramente Isabela, i suoi occhi gentili e il sorriso radioso inconfondibili anche nella giovinezza. L’altra bambina, dalla pelle scura e i capelli neri, aveva un sorriso altrettanto ampio. Era facile riconoscere la somiglianza con Carmem.
C’erano altre foto: le stesse due bambine, un po’ più grandi, forse dodici o tredici anni, sedute sul marciapiede a mangiare un gelato; Isabela e Carmem adolescenti con uniformi scolastiche diverse, ma ancora insieme, ancora amiche. L’ultima foto mostrava le due a circa sedici o diciassette anni, abbracciate davanti a una casa semplice, con sorrisi più maturi ma non meno genuini.
Miguel esaminò ogni foto con attenzione, cercando qualsiasi segno di falsificazione, ma sembravano autentiche. Era inequivocabilmente Isabela in ciascuna, in fasi della vita di cui parlava raramente.
«Isabela non ti ha mai menzionata», disse, con la voce ora più morbida ma ancora cauta. «In tutti gli anni in cui siamo stati insieme, non ha mai parlato di un’amica d’infanzia chiamata Carmem.»
Qualcosa di doloroso attraversò il volto di Carmem. «Lo so. Non poteva parlare di me.»
«Perché no?»
Carmem si avvicinò alla finestra dello studio, guardando il giardino ben curato là fuori. Quando parlò, la voce era carica di emozione trattenuta. «Perché lei non avrebbe approvato, signor Hernández. Non l’Isabela che era mia amica. L’Isabela delle strade senza asfalto, delle case umili, del quartiere povero in cui siamo cresciute. Lei si è innamorato dell’Isabela che è diventata dopo, della studentessa dell’università privata, della giovane di una famiglia riuscita. Ma quella Isabela… quella era solo metà della storia.»
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Miguel sentì qualcosa stringersi nel petto. C’era verità in quelle parole, una verità che non gli piaceva ammettere, nemmeno a se stesso.
«Continua», disse.
Carmem si voltò a guardarlo, con le lacrime agli angoli degli occhi. «Quando Isabela aveva diciassette anni, ottenne una borsa di studio in una scuola privata dall’altra parte della città. Fu l’opportunità della sua vita. I suoi genitori, benché poveri, si sforzarono di pagare quel poco che la borsa non copriva. Cominciò a vivere in due mondi, signor Hernández. Il mondo in cui era nata, con le persone che la amavano, e il nuovo mondo di opportunità che si apriva davanti a lei.»
«E tu sei rimasta nel primo mondo», disse Miguel, intuendo dove questo portava.
«Sono rimasta. I miei genitori non avevano i mezzi per darmi le stesse opportunità. Così, mentre Isabela andava in una scuola elegante, io lavoravo aiutando mia madre a lavare i panni altrui. Mentre lei faceva nuove amicizie con famiglie ricche, io badavo ai miei fratelli più piccoli. Non abbiamo litigato, non c’è stata una rottura drammatica. È stata semplicemente la vita a portarci su strade diverse.» Si asciugò una lacrima che le scivolò. «All’inizio cercammo di restare in contatto. Isabela veniva a trovarmi ogni volta che poteva, ma poi… conobbe lei, e tutto cambiò.»
Miguel deglutì. Ricordava quel periodo. Si era innamorato perdutamente di Isabela al primo anno di università. Era diversa dalle altre ragazze che conosceva. C’era qualcosa di genuino in lei, una bontà non forzata. Ma ricordava anche di essere rimasto sorpreso quando conobbe la sua famiglia. Erano semplici, modesti. Non era il tipo di famiglia che immaginava per la sua futura moglie.
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«Sono stato uno sciocco», mormorò, più a se stesso che a Carmem.
«Eri giovane», lo corresse gentilmente Carmem. «Giovane e cresciuto in un mondo in cui queste cose contavano più di quanto dovessero. Isabela mi raccontò come la sua famiglia reagì quando seppe delle sue origini, come la spinsero ad allontanarsi dal suo passato se voleva essere accettata. E lei… fece ciò che pensava di dover fare per mantenere il suo nuovo mondo. Per mantenere te.»
Miguel ricordava. Le conversazioni tese con i suoi genitori, convinti che potesse fare una scelta migliore; la pressione su Isabela perché si reinventasse, per diventare qualcuno che si adattasse allo stampo che la famiglia Hernández si aspettava. E il peggio: lui era d’accordo. Aveva chiarito che preferiva la versione levigata e raffinata di Isabela alla ragazza semplice che era originariamente.
«Smetté di parlarmi», proseguì Carmem. «Non perché lo volesse, ma perché era più facile così. Meno doloroso per entrambe. Io capii. Capisco ancora. Ma fece male. Fece molto male vedere la mia migliore amica allontanarsi, sapendo che non c’era nulla che potessi fare.»
«Allora perché tornare adesso?», chiese Miguel. «Perché, dopo tutti questi anni, presentarti qui?»
Carmem guardò di nuovo fuori dalla finestra, con le spalle tese. «Perché sei mesi fa ho scoperto che Isabela era morta. L’ho letto sul giornale, una piccola nota nella sezione necrologi, e questo ha distrutto il mio mondo. Perché, anche se non parlavamo da anni, era ancora la mia migliore amica. Era ancora la ragazza che divideva con me la sua merenda quando io non avevo niente da mangiare. Era ancora la persona che mi conosceva meglio di chiunque altro.» Si voltò, e ora le lacrime le correvano liberamente sul viso. «Così ho iniziato a informarmi discretamente. Senza clamore, ho scoperto di lei, di te, di Sofia, di come andava la vostra vita dopo il matrimonio. E ho scoperto che Sofia stava soffrendo. Che respingeva tutte le persone che cercavano di avvicinarsi. L’ho visto nel modo in cui i dipendenti parlavano di lei, nella reputazione che questa casa stava guadagnando nel quartiere… una bambina di nove anni così piena di rabbia e dolore che nessuno riusciva a raggiungerla.»
Carmem fece alcuni passi verso Miguel. «Così mi sono candidata al posto tramite l’agenzia. Non ho detto chi ero perché sapevo che probabilmente mi avrebbe rifiutata. Avevo bisogno di entrare in questa casa. Dovevo vedere con i miei occhi se Sofia stava bene, se c’era qualcosa che potessi fare per onorare la memoria di Isabela prendendomi cura di sua figlia.»
Miguel elaborò tutto in silenzio. Una parte di lui voleva credere a Carmem. Le foto erano vere, la storia aveva senso e la reazione di Sofia alla sua presenza era innegabile. Ma un’altra parte, quella che aveva imparato a essere prudente negli affari, la parte che proteggeva sua figlia sopra ogni cosa, rimaneva diffidente.
«Che cosa hai sussurrato a Sofia?», chiese. «Laggiù, quando l’hai abbracciata. Cosa le hai detto che l’ha fatta reagire in quel modo?»
Carmem esitò, mordendosi il labbro. Poi sospirò. «Le ho detto che sua madre non l’aveva lasciata perché voleva. Che Isabela aveva combattuto con tutte le sue forze per restare, ma che a volte la vita ci porta via le persone importanti prima del tempo. E le ho detto che Isabela sarebbe stata orgogliosa della ragazza forte che è diventata, anche se quella forza ora si manifesta come rabbia.»
Miguel sentì un nodo alla gola. Sofia non aveva mai elaborato davvero ciò che era accaduto a Isabela. I medici avevano suggerito una terapia, ma si rifiutava di parlare con estranei. Si era completamente chiusa, costruendo muri così alti che nemmeno suo padre riusciva a oltrepassarli. Ma Carmem, in pochi minuti, era riuscita in qualche modo a raggiungerla.
«Non so se posso fidarmi di te», disse Miguel onestamente. «Ma ti darò una possibilità. Una sola possibilità. Puoi restare. Puoi lavorare qui. E, se Sofia lo vorrà, potrai parlarle di Isabela. Ma a delle condizioni.»
Carmem sollevò il mento, in attesa.
«Prima condizione: totale onestà. Se c’è qualcos’altro che non mi hai detto, qualsiasi altro segreto, me lo racconti adesso. Seconda condizione: se in qualsiasi momento avrò la sensazione che tu stia manipolando Sofia o usando la memoria di Isabela per qualche scopo discutibile, te ne andrai immediatamente. E terza condizione: non prendi alcuna decisione importante che coinvolga mia figlia senza la mia autorizzazione preventiva. Inteso?»
«Inteso», rispose Carmem senza esitare. «E, signor Hernández… grazie per concedermi questa opportunità. So che non è facile fidarsi, soprattutto quando si tratta di proteggere qualcuno che amiamo.»
Miguel annuì soltanto e indicò la porta. Quando Carmem stava per uscire, la chiamò di nuovo.
«Carmem.»
«Isabela… parlava davvero di Sofia prima che nascesse?»
Un triste sorriso attraversò il volto di Carmem. «Sì. Fu l’ultima volta che parlammo, poco prima di perdere definitivamente i contatti. Era al quinto mese di gravidanza ed era raggiante. Disse che finalmente avrebbe avuto la famiglia che aveva sempre sognato e che avrebbe fatto tutto in modo diverso con sua figlia. Le avrebbe mostrato che il valore di una persona non sta in quanti soldi ha o in quale quartiere vive, ma nella grandezza del suo cuore.»
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Miguel inghiottì il nodo alla gola e si limitò ad annuire. Carmem uscì, chiudendo dolcemente la porta alle sue spalle. Solo nello studio, Miguel si lasciò cadere sulla poltrona di pelle che era il posto preferito di Isabela per leggere. Si portò i palmi agli occhi, cercando di elaborare tutto ciò che era accaduto nelle ultime ore.
Isabela non gli aveva mai parlato di Carmem. Ma, ora che ci pensava, c’erano tante cose di cui Isabela non gli aveva mai parlato: della sua infanzia, delle sue amiche, della vita che aveva avuto prima di conoscerlo. Aveva sempre dato per scontato che semplicemente non amasse parlare di quel periodo, che volesse lasciarsi il passato alle spalle. Ma forse non era così. Forse sapeva semplicemente che lui non voleva ascoltare. Che la sua famiglia non voleva ascoltare. Che il mondo nel quale era entrata sposandolo non aveva spazio per l’Isabela delle strade senza asfalto e delle case umili.
E questo lo fece sentire il peggior tipo di marito.