Capitolo 1: Il fantasma del passato
Valentina Stepanovna arrivò al rifugio “Sole” all’inizio di ottobre — piccola, incurvata, con un vecchio soprabito consumato e un fazzoletto legato in stile giovanile. Trascinava con sé una grande borsa su ruote, fermandosi ogni pochi passi per riprendere fiato. Il vento le scompigliava il fazzoletto, una pioggia sottile lievemente la bagnava, ma lei avanzava ostinata, come sapesse esattamente cosa l’aspettava in quel luogo.
«Posso andare dai bambini?» chiese al guardiano, con la voce che tremava per il freddo e l’emozione. «Ho… ho preparato dei pirozhki.»
All’inizio la direttrice del rifugio, Marina Viktorovna, osservò la sconosciuta con sospetto. Negli anni di servizio aveva imparato a non fidarsi dei cuori troppo generosi. Ma quando la vecchietta tirò fuori dalla borsa un thermos di tè e una scatola di pirozhki dall’aspetto dorato e profumato, i suoi dubbi cominciarono a sciogliersi.
«Li faccio io,» disse la donna, aggiustandosi il fazzoletto scivolato. «E non ho più nessuno. Mio marito è morto da tempo, anche mia figlia… se n’è andata. Ho pensato che forse ai bambini farebbe piacere.»
Marina Viktorovna prese un pirozhok. Ripieno di cavolo, succoso, casalingo — proprio come quelli che preparava sua nonna. Erano autentici, come la donna stessa.
«Come si chiama?»
«Valentina Stepanovna. Ma può chiamarmi semplicemente — nonna Valja.»
Così entrò nella vita di quaranta bambini, diventando per loro madre, confidente, affetto.
Capitolo 2: Nonna Valja e il suo mondo
Ogni mercoledì, puntuale alle due del pomeriggio, Valentina Stepanovna appariva ai cancelli del rifugio. Sempre con lo stesso soprabito logoro e la pesante borsa su ruote. A volte dentro c’erano pirozhki di mele, a volte di ricotta, e un giorno persino una torta un po’ storta ma squisita. I bambini l’adoravano. Raccontava fiabe come se nascessero in quel preciso istante, insegnava alle bambine a intrecciare le trecce e stupiva i maschietti con i suoi trucchi di prestigio con le monete.
«Nonna, da dove prendi tutte queste fiabe?» chiedeva la piccola Nastja, otto anni.
«Dalla mia nonna,» rispondeva Valentina Stepanovna, guardando fuori dalla finestra con aria malinconica. «Erano tempi lontani… così remoti…»
L’educatrice Lena notò presto che la vecchia non parlava mai di sé. Del marito accennava raramente, della giovinezza non diceva una parola. Era come se tutta la sua vita fosse cominciata lì, dentro le mura del rifugio.
Un giorno Lena chiese:
«Valentina Stepanovna, dove abita?»
«Qui vicino,» rispose sfuggente. «In un quartiere antico. Ho una bella casa, ma è tanto vuota…»
Capitolo 3: Un triste mistero
Dopo un mese Marina Viktorovna notò delle stranezze. Valentina Stepanovna si avvicinava con interesse ai nuovi arrivati, in particolare agli adolescenti. Li interrogava: da dove venivano, come si chiamavano, se avevano parenti.
«Nonna Valja è buona,» dicevano i bambini. «Ma a volte ti guarda con una tristezza…»
Anche Lena se ne accorse. La vecchietta talvolta interrompeva la fiaba a metà frase, rimaneva immobile fissando un punto nel vuoto. Un giorno, mentre osservava le foto dei bambini sul pannello, improvvisamente scoppiò in lacrime.
«Cosa succede?» chiese Lena, accorrendo.
«Niente, cara,» singhiozzò Valentina Stepanovna asciugandosi le lacrime. «È solo che… mi fate tanta tenerezza.»
Ma Lena vide chiaramente che lo sguardo della donna era fisso sulla foto di Dima, sedicenne appena arrivato.
Capitolo 4: Dima e il suo segreto
Dima Krasnov era un adolescente difficile. Sedici anni, scappato dal precedente istituto con una storia di conflitti e traumi. Nei suoi documenti si leggeva: madre l’aveva abbandonato in tenera età, padre sconosciuto. Era chiuso, aggressivo, non si fidava di nessuno.
Con nonna Valja però si comportava diversamente. Ascoltava le sue storie, l’aiutava a trascinare la borsa, perfino sorrideva.
«È strano,» diceva Marina Viktorovna. «Dima non va d’accordo con nessuno, tranne che con Valentina Stepanovna.»
La vecchietta lo trattava con premura speciale. Gli portava pirozhki separati, passava più tempo a conversare con lui che con gli altri.
«Nei documenti c’è scritto che mia madre è morta quando ero piccolo,» spiegava Dima. «E sul padre non c’è traccia.»
«E il cognome?» domandò la nonna, cambiando repentinamente argomento.
«È quello dei documenti. Dicono sia quello di mia madre.»
Valentina Stepanovna annuiva, ma Lena notava che le sue mani tremavano.
A volte gli incontri casuali non lo sono affatto. E ciò che sembra un semplice gesto di bontà può nascondere dolore e una lunga ricerca.
Capitolo 5: L’episodio in strada
A novembre avvenne il primo allarme. Valentina Stepanovna arrivò in ritardo, scossa e preoccupata. Senza borsa, senza pirozhki.
«Valentina Stepanovna, sta male?» si preoccupò Marina.
«No, cosa crede! È solo… un uomo mi ha avvicinato lungo la strada. Mi ha chiesto dove abitassi, come mi chiamassi. Mi ha messo ansia.»
«Vuoi chiamare la polizia?»
«Assolutamente no!» sbottò la donna. «Non serve. Quel signore mi sembrava familiare…»
Da quel giorno la vecchietta divenne più guardinga. Chiedeva alla guardia di accompagnarla al pullman, scrutava l’orizzonte. Un giorno Lena notò che non indossava più il fazzoletto, ma occhiali scuri.
«Problemi di vista,» spiegò lei. «Il medico ha detto di usarli.»
Eppure i suoi occhi apparivano lucidi, attenti. Soprattutto quando guardava Dima.
Capitolo 6: Voci e verità
A dicembre si diffusero voci inquietanti nel quartiere. La vicina Galina Petrovna raccontava: «Un uomo qui vicino mostrava delle fotografie, chiedeva se ricordassi quella donna.» Storie simili si moltiplicarono.
Marina collegò i racconti a quanto Valentina aveva confidato sull’uomo. Forse truffatori. O qualcosa di peggiore.
Nei notiziari locali giravano servizi su testimoni cercati per vecchi casi di quindici anni prima. Non si aggiungevano dettagli, ma il tono era grave.
Valentina Stepanovna continuava a presentarsi ogni mercoledì. Solo che ora era più silenziosa, assorta. Lena la vedeva seduta, a fissare Dima, come se volesse memorizzare ogni suo gesto, ogni linea del volto.
«Nonna Valja, nasconde qualcosa?» chiese Lena con garbo.
«Cosa può nascondere una vecchia?» rispose Valentina Stepanovna sorridendo. «Solo la ricetta dei miei pirozhki.»
Capitolo 7: Lo smascheramento
Tutto si chiarì mercoledì 23 dicembre. Valentina Stepanovna non arrivò all’orario abituale. Lena si preoccupò — non era mai in ritardo.
Alle sei di sera accese il telegiornale locale e rimase senza parole.
«Questa mattina è stata arrestata una donna di settantaquattro anni. Valentina Krasnova si era data alla fuga quindici anni fa. Nel 2009 aveva prelevato da un orfanotrofio un bambino di diciotto mesi, dopo la morte della figlia. Il piccolo fu ritrovato dopo una settimana, ma la sospettata sparì…»
Sul video appariva la foto della loro amata nonna Valja, seppur più giovane e con un’acconciatura diversa. E il cognome — Krasnova. Uguale a quello di Dima.
Lena spense la televisione con mani tremanti. Ora tutto aveva un senso. Valentina Stepanovna aveva rubato il nipote da piccolissimo, incapace di accettare la perdita di figlia e nipote.
Partì di corsa alla ricerca di Dima.
Capitolo 8: La verità fra le righe
Dima era nella sua stanza e guardava le stesse notizie sul cellulare. Il volto bianco come gesso.
«Dima, tu…»
«Ho capito tutto,» disse piano. «Krasnov(a). Dima Krasnov. Non è una coincidenza.»
«Cosa intendi?»
«Lei è mia nonna. Quella vera. Mi ha cercato per quindici anni. E mi ha trovato qui.»
«Perché non ha detto la verità?»
«E cosa avrebbe dovuto dire? “Ciao nipotino, sono la nonna che ha commesso un reato”?» chiese lui amaramente.
L’amore non ha scadenza. Anche a settantaquattro anni si può cercare l’unica persona che conta, pronti a correre ogni rischio.
Capitolo 9: L’addio
Il giorno seguente Valentina Stepanovna fu condotta al rifugio scortata. Le fu inflitta una condanna con sospensione della pena — l’età e il fatto di aver restituito il bambino giocarono a suo favore. Le permisero di salutare i bambini.
Dima la aspettava nella sala polifunzionale.
«Nonna…» iniziò lui.
«Non dire nulla,» la interruppe Valentina Stepanovna. «So già cosa pensi.»
«Penso che mi hai cercato per quindici anni.»
La vecchietta scoppiò in lacrime:
«Ti ho amato così tanto…» singhiozzò. «Mia figlia è morta alla tua nascita. Ti portarono in orfanotrofio. Ti presi per una settimana — volevo solo starti accanto, mostrarti che non eri solo. Ma ho avuto paura e ti ho riportato indietro.»
«E poi?»
«Poi mi sono ammalata di cuore. Ho passato anni in cura. Quando sono guarita, ho cominciato a cercarti. Per quindici anni. Fino a quando non ti ho trovato qui.»
Capitolo 10: Il ritorno della famiglia
Sei mesi dopo Dima ottenne il permesso di visitare la nonna. Lei continuava a sfornare pirozhki — ormai soltanto per lui.
«Sai,» gli disse un giorno, «al rifugio dicono che senza di me manca la fiaba.»
«E tu ti manca?»
Dima rifletté un istante:
«No. È meglio conoscere la verità. Anche quando è spaventosa.»
«L’amore è una cosa spaventosa,» annuì Valentina Stepanovna. «Ti fa fare follie.»
«Ma ti fa anche ritrovare chi hai perso.»
«E ritrovare,» concordò lei.
Fuori nevicava. Sulla tavola si raffreddavano i pirozhki di mele. Due persone sedevano vicine, imparando a essere una famiglia, ancora una volta.
Dopo quindici anni di separazione, dolore e errori.